La Domenica della Parola di Dio 2024, il prossimo 21 gennaio, presenta come tema l’espressione: «Rimanete nella mia Parola» (Gv 8,31).
Quinta domenica della Parola
LEGGERE, ASCOLTARE, VIVERE
E NARRARE LA PAROLA
Domenica 21 gennaio le comunità cristiane sono chiamate a riflettere su quanto sia importante nella vita quotidiana il riferimento alla Parola di Dio, una Parola non confinata in un libro, ma che resta sempre viva e si fa segno concreto e tangibile. Ogni comunità cristiana troverà certamente le modalità per dire e vivere questa centralità della Parola. L’Ufficio per la Catechesi e per la Liturgia offrono un video-sussidio quale contributo per le comunità. Il motto scelto per questa giornata è significativo: “Rimanete nella mia Parola” (Giovanni 8,31). Il testo citato continua affermando che rimanere nella Parola significa essere davvero discepoli di Gesù. Dunque, conoscere e vivere la Parola non è un dato secondario, ma decisivo per il credente.
Può essere utile riflettere sul come e sul quanto le nostre comunità leggano la Parola e da essa siano in grado di creare quel clima di comunione sopra richiamato. Guardando un pò alla realtà nella quale vivono le nostre comunità, qualche sana provocazione emerge certamente. Sembra che per molti cristiani la lettura della Bibbia faccia problema perché sentono una certa distanza tra la propria vita e il testo biblico.
La vita nel testo
Accostando la Bibbia occorre tenere presente la chiara consapevolezza della distanza che esiste tra il testo e il lettore di oggi. Il lettore entra «dentro» lo scritto con la propria soggettività e il proprio orizzonte culturale. Ma anche il documento scritto contiene «dentro» una specifica mentalità, un tentativo di rispondere a determinati problemi.
Interpretare un testo non significa colmare la distanza tra esso e il lettore. L’alterità rimane e va sfruttata. Noi sappiamo che nei documenti del passato, al di là della messe di notizie e di dati cronisti ci che essi presentano, è contenuta la comprensione propria dell’autore; egli – anche senza volerlo – vi ha espresso la sua visione del mondo, il suo modo di comprendere e progettare la vita. Allora, il lettore non è mai sprovveduto di fronte al testo: egli condivide con l’autore l’interesse per l’esistenza, è preso dagli stessi interrogativi di fondo che riguardano l’esistere (come ben vivere) e il progettare la propria esistenza (perché certe scelte piuttosto che altre?). La domanda ultima che instaura il ponte tra il testo e il lettore è allora la domanda sull’esistenza intesa come realtà aperta e non chiusa. Se ci collochiamo in questa prospettiva, siamo in grado di cogliere come vadano evitate due grosse e frequenti tentazioni. La prima: insistere tanto sulla propria precomprensione (la propria esperienza, il proprio vissuto) al punto dal dispensarsi dall’ascoltare il testo. La seconda: mettere la propria soggettività in secondo piano; è necessario invece – a partire dalla propria soggettività – chiedersi se si ha dentro, in sé, la giusta domanda: quella che chiama in causa problemi veri, i problemi ultimi. Se così avviene, il dialogo si instaura e la narrazione diventa possibile.
La vita è narrazione
«Per il cristiano la narrazione non è semplicemente ricostruzione del passato, ma testimonianza che lega la svolta storica dell’evento Cristo alla propria esistenza e contribuisce a mandare avanti il mondo. La narrazione strappa l’uomo al piattume della quotidianità ripetitiva che gli annebbia la vista e gli frena lo slancio: a furia di contentarsi di sopravvivere l’uomo si aggrappa al già acquisito; ha disimparato o ha paura di innovare» (S. Lanza).
Vale la pena di ricordare una pagina notissima di M. Buber: «Si pregò un rabbì, il cui nonno era stato alla scuola di Baalschem, di raccontare una storia. “Una storia -egli disse- “la si deve raccontare che possa essere di aiuto”. E raccontò: “Mio nonno era paralitico. Un giorno gli si chiese di narrare una storia del suo maestro. E allora prese a raccontare come il santo Baalschem, quando pregava, saltellasse e ballasse. Mio nonno si alzò in piedi e raccontò. Ma la storia lo trasportava talmente che doveva anche mostrare come il maestro facesse, saltando e ballando anche li. E così, dopo un’ora era guarito. È questo il modo di raccontare le storie».
Così dovrebbe essere delle nostre narrazioni bibliche: racconto di una storia che ci precede e ci interpella: una storia che ci precede e ci viene consegnata di modo che nel raccontarla possa emergere chi è Dio (egli, per primo e gratuitamente va incontro agli uomini) e come egli agisca nella storia (egli libera l’uomo dalla solitudine di una storia chiusa).
Attualità della narrazione…
Se individualmente e comunitariamente abbiamo perso il gusto della narrazione, dobbiamo chiederci: di quale Dio stiamo parlando? E se le nostre narrazioni non rimettono in piedi l’uomo d’oggi, spesso tentato dal rimpianto e dal passato, quale annuncio andiamo facendo? Narrare allora non è solo riscoprire una tecnica comunicativa. Significa, più radicalmente, cogliere la logica con la quale la vicenda salvifica va accolta e professata: solo la narrazione ci costringe a guardare a Dio e alla sua gratuità e non all’uomo e agli sforzi che egli fa per raggiungere Dio. Ci deve interessare ciò che Dio ha fatto (e il come) per gli uomini, non ciò che fa l’uomo per Dio. Solo la prima, infatti, è “lieta notizia”.
Tutti, seppure con modalità diverse, siamo al servizio di essa. Affinché l’uomo d’oggi possa, raccontando e danzando con noi, rialzarsi e camminare nuovamente nella vita di tutti i giorni raccontando, a sua volta, ciò che lo ha rimesso in piedi.
Così la narrazione, raccontando una storia che la precede, diventa essa stessa storia: una storia nuovamente narrata affinché tutti possano comprendere che è possibile rialzarsi e camminare. Ci si potrebbe chiedere se una certa apatia delle comunità cristiane non dipenda, anche, da una scarsa pratica costante della lettura della Bibbia: la novità dell’antica saggezza biblica genera volti e cuori rinnovati e in grado di narrare ad altri le cose grandi che il Dio di Gesù ha operato in essi.
Una proposta
Sarebbe significativo se ogni comunità, proprio per affermare la centralità della Parola, offrisse domenica 21 gennaio al termine di ogni eucaristia, un piccolo Vangelo a chi lo volesse. Così la Parola, letta nella liturgia, accompagna il credente lungo la settimana. Certamente ci sarà chi accetterà questo segno: perché allora non chiedere a quanti hanno accettato il testo del Vangelo, di ritrovarsi dopo un certo periodo per condividere le eventuali difficoltà di lettura? Un primo passo per ascoltare e rimanere nella Parola.
Arcangelo Bagni
Responsabile Settore Apostolato Biblico
Ufficio per la Catechesi
Videointervista