Cari sacerdoti e catechisti,
abbiamo appena cominciato da qualche giorno questo nuovo tempo di Avvento! Tempo favorevole per pensare all’incontro con il Signore che verrà alla fine dei tempi e per prepararci alla Sua Venuta nel Natale!
Alleniamoci ad attendere in questo tempo, non solo ad aspettare: attendere è un atteggiamento del cuore, che tende verso Qualcuno! Non significa rimanere passivi, ma essere protagonisti di questa Attesa!
Un simbolo del Natale è quello della grotta. Quel luogo distante, separato dal resto e dalle persone, perché non c’era posto per loro, per quella famiglia, in paese. Nella notte, dentro un antro dove riscaldarsi è ‘farsi accanto’, dove la luce è un desiderio ed una speranza più che una certezza, o meglio, una promessa. In quel luogo il compimento del Verbo. Pochi indizi e per pochi disposti a vederli e ad inseguirli. Non per i sapienti del tempo e del tempio, ma per chi ne era fuori e per chi ne era lontano. Un invito che non chiedeva un adattamento per loro o una comprensione da sistematizzare dentro un modello appreso. Un’intuizione, un calore, un tremore lungo la schiena e la curiosità che mette in cammino.
E se questo invito fosse anche per noi oggi come Chiesa? Se oggi ci giocassimo questa grande opportunità? Eppure ci sentiamo già arrivati, già adoranti accanto alla culla, per poi restare delusi perché vuota. Affaticati e delusi. Frustrati e amareggiati. Perché avevamo acceso le luci, illuminato a festa la grotta, immaginato il bambino tanto da averlo innalzato e baciato. Poi, spente le luci, siamo rimasti al buio a mani vuote. Perché ci aspettavamo la pace, la serenità quando tutto comunicava altro. In una grotta nasce e in una grotta-sepolcro tornerà, laddove lo porteranno un Giuseppe prima e un Giuseppe d’Arimatea alla fine in quanto non c’era posto altrove. Avvolto in fasce in una mangiatoia-sarcofago-tomba a cui faranno da guardia pastori-soldati. Bimbo nascente e morente. Alcuni muoiono ancora prima di nascere, altri nascono per morire poco a poco, altri rinascono morendo. La nostra situazione personale ed ecclesiale in quale categoria si potrebbe collocare?
In tante formazioni vissute, abbiamo richiamato tante volte l’immagine biblica dell’esodo. E lo abbiamo fatto collocandoci in cammino lungo il deserto verso una terra promessa che ancora non vediamo. Forse questo non ci ha aiutato perché ha rappresentato un’illusione in quanto, se ci collocassimo in quella storia come Chiesa, in realtà non avremmo ancora attraversato il Mar Rosso. Non abbiamo ancora visto i nostri ‘egiziani interiori’ travolti dal flusso dirompente e purificatore delle acque. Siamo ancora in terra di Egitto, ma il Signore ci sta aiutando attraverso le piaghe, le prove che indurendo il cuore vecchio, possono spingerci a sfidare l’impossibile per la libertà. Possono purificarci dalla tentazione del potere mal gestito, del desiderio mal posto, dello sguardo che non sa riconoscere il bene necessario da quello apparente, che sa rinunciare al subito per attendere un bene maggiore. Piaghe come distruzione di ciò che prima dava sicurezza, di ciò che prima costituiva un appoggio sicuro (beni, persone, progetti, iniziative, documenti) fino alle forme più innovative di pastorale (i primogeniti che garantiscono il futuro) utili solo per restare nella schiavitù dell’Egitto. Perché forse non si è ancora pronti per il lungo viaggio. Non siamo ancora pronti a lasciare, a perdere sicurezze, ad uscire nella notte.
La percezione, nella difficoltà e fatica di tanti che incrociamo lungo la strada verso Emmaus è di sostare in quella notte e affinare il proprio sguardo al buio, dove traluce un sospiro leggero, appena accennato, che è facile soffocare dentro le nostre paure. Eppure, ci sono dei pastori, ci sono dei Magi, c’è una stella, ci sono dei custodi del calore. Eppure percepiamo tutto questo e ci riempie di speranza, di vita, in questo Natale che irrompe nella sua sconvolgente novità. Servirà tempo per passare da quell’antro alla luce, da alcuni a molti, ma la Chiesa è in cammino malgrado tutto. E abbiamo la fortuna di farne parte, pur se affaticati, perché quel giogo è leggero e dolce. Ci libera, cioè, e ci ridona sapore.
Buona Luce!
Don Francesco
Ufficio per la Catechesi