La domanda
L’emergenza causata dal Coronavirus, che ha invasola nostra vita, bloccandoci nelle nostre case e costringendoci amodificare drasticamente le nostre occupazioni e abitudini,si è bruscamente abbattuta anche nell’esistenza delle persone con disabilità, interrompendo la loro delicata routine. Quest’emergenza ha infatti implicato grandi e serie conseguenze per tutti, ma ha avuto ricadute pesanti ed effetti particolarmente complessi su questa parte della popolazione, già fragile e bisognosa di supporto, per la quale la routine è quasi sempre ciò che garantisce la tranquillità e la serenità, oltreche,per molti,la salute fisica. Le misure restrittive a cui siamo da tempo sottoposti hanno impedito lo scorrere delle giornate secondo un programma fatto di situazioni ed eventi ben conosciuti, come per esempio la vita comunitaria, con la sua possibilità diincontri, di scambi e di rapporti umaninei vari centri diurni e nelle scuole, di interventi educativi, oltre che di indispensabili terapie riabilitative. Se l’uomo vivente è lagloria di Dio, imparare ad aver cura di unapersona con disabilità è nient’altro che imparare a conoscere, a stare con, ad amare Dio. Per questo, è fondamentale che ognuno di noi, comemembrodella comunità cristiana,benchégiàprovato dadifficoltà personali,si domandi come stanno vivendo questo difficile momento i nostri fratelli e sorelle con disabilità e come lo stanno affrontandole loro famiglie.
Il vissuto della famiglia con disabilità
Molte di loro hanno avuto fin dall’inizio il problema di dover gestire la persona con disabilità da sole, senza il supporto delle varie figure professionali, dovendo così affrontare le norme restrittive e le proprie criticità personali, tra cui il lavoro da casa o la sua interruzione con i relativi problemi economici,con il familiare con disabilitàinteramente a lorocarico.In generale, ma soprattutto laddove c’è una fragilità anche nei genitori, si è manifestata la difficoltà, talvolta l’incapacità,di gestire i propri figli, di saper proporre loro attività adeguate, poiché abituati ad affidarli alle scuole, ai centri diurni, ad attività sportive o aggregative. Di conseguenza,moltibambini e ragazzi con disabilità, immersinell’inattività,sono stati pervasi dallanoia,dalla frustrazione,da nervosismo, agitazionee scatti di rabbia, a seconda delle proprie situazioni e patologie. C’è anche chiha vissutoi primi giorni di isolamento un po’ da privilegiatoperchéconla fortuna di avere un prato, uno spazio esternoper poterfare qualche piccola passeggiata o movimento fisico, sentendosi un po’ in vacanza. Quando però la situazione è peggioratae l’obbligo di non muoversi è divenutocategoricoe prolungato nel tempo, sono iniziate le prime difficoltà della famiglia, tutteincentratesulla gestione dell’umoree della pulsionalitàdel loro ragazzo, sui complessi interventi educativi da mettere in atto, sull’inventare, proporre e gestire attività a cui normalmente pensava una figura esterna.
Alcune risorse
Per molte famiglie le criticitàsono proprio di carattere educativo perché con l’isolamento i ragazzi con disabilità hanno perso,oltre all’indispensabile contatto sociale, via via l’abitudine all’impegno nelle attività che erano soliti svolgere, riassumendo facilmente i comportamenti problema, che con la routine giornaliera erano stati superati o erano meglio gestibili.Per molti, inoltre, il fatto di avere patologie importanti a livello fisico ha portato un’estrema preoccupazione e aumento di difficoltà di gestione alle proprie famiglie, poiché maggiore èstatala necessità di evitare ilcontagio.Qualcuno non ce l’ha fatta e molti hanno perso persone care e di riferimento concreto per le loro difficoltà.Nonostante un quadroveramente drammatico, moltinuclei familiari, a volte anche inaspettatamente, hanno saputo far emergere bellissime risorse, che si sono espresse attraverso il progettare diverse attività coinvolgenti e adeguate, da proporre e da vivere insieme, con una rinnovata e partecipata attenzione alle attività didattiche.Tanti fratelli e genitori sono quotidianamente impegnati per ore al computer oad altri strumenti di comunicazione. Per molti bambini e ragazzi è infatti necessario avere di fianco un familiare, che li guidi nell’uso del computer, tablet o cellulare, diventati in questo periodo l’unico canale per seguire i percorsi didattici, ma anche per riallacciare i rapporti umani.Quello che incoraggia a sperare e rinsalda la fiducia nelle persone è che in molti c’è stata immediatamente la consapevolezza di doversi impegnareper non far sentire abbandonate le famiglie e le persone con disabilità. Dopo la chiusura dei Centri Diurni,delle scuole e dei vari centri e servizi,moltissimefamiglie sono state chiamate dagli operatori di riferimento, dagli educatori, dagli insegnanti,chesi sono resi presenti, vicini con affetto e attivamente partecipi della vita loro e dei familiari con disabilità. In tanti si sono “fatti prossimo” con professionalità, ma anche con tanta sincera partecipazione affettiva, utilizzando conversazioni telefonichestrutturate e frequenti, realizzando video, predisponendoprogetti individuali di sostegnoin collaborazione con le famiglie, attivandosi nel supportare i bambini e i ragazzi durante le ore di didattica online e poi seguendoli personalmente per facilitarne gli apprendimenti, ascoltandoli e incoraggiandoli a raccontare il loro vissuto, sostenendoli e rallegrandosi con loro per gli impegni portati avanti nonostante le difficoltà di questo periodo.Il rischiosarebbe stato quello difermarsi dopo questo lungo periodo o di ricadere nella mancanza di attenzione e sensibilità. Non deve accadere, perché nulla sarà mai più come prima e nulla sia come prima!
Questioni aperte
Ma, inutile negarlo: questa situazione di emergenza haaumentato l’isolamento sociale, soprattutto per chi ha una disabilità o ha un familiare con disabilità. Al momento non sembra o non si riesce a capire se le Istituzioni stiano ragionando su un prossimo passaggio, che preveda anche la ripresa dell’assistenza domiciliare, la riapertura dei centri diurni e di un percorso di accompagnamento per chi ha bisogni particolari. Sarebbe importantissimo fosse studiato con il coinvolgimento di rappresentanti delle famiglie e dei servizi per ripartire con la co-progettazione dei servizi. E come gestire l’uso di guanti, mascherine e distanze da parte di chi ha bisogni speciali? Sono problematiche serie, che speriamo possano presto avere una risposta adeguata.Questo drammatico periodo ci insegni la necessità di impegnarsi al massimo per coltivare in sé un nuovo sguardo e stile nei confronti di ogni fratello e sorella, in particolare di chi è più fragile. Ci insegni a vivere con speranza, segno di fede viva, dopo aver visto tantissime persone spendersi nel quotidiano di questi mesi in tanti e differenti modi per chi è in difficoltà.
Elisabetta Maschio, Responsabile Settore Catechesi per le persone con disabilità – Ufficio diocesano per la Cateches