Esperienza e spunti di riflessione pastorale - Bissoli

Bibbia, arte e catechesi

BIBBIA, ARTE E CATECHESI

Esperienza e spunti di riflessione pastorale (in calce alla pagina è possibile scaricare il documento in formato .pdf)

 

  1. Una parola autorevole

“Nella sua Lettera agli artisti (1999), Giovanni Paolo II ricordava che «la S. Scrittura è diventata una sorta di “immenso vocabolario” (Paul Claudel) e di “atlante iconografico” (Marc Chagall), a cui hanno attinto la cultura e l’arte cristiana» (n. 5). Goethe era convinto che il Vangelo fosse la «lingua materna dell’Europa». La Bibbia, come ormai si è soliti dire, è «il grande codice» della cultura universale: gli artisti hanno idealmente intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato di storie, simboli, figure che sono le pagine bibliche; i musicisti è attorno ai testi sacri, soprattutto salmici, che hanno intessuto le loro armonie; gli scrittori hanno per secoli ripreso quelle antiche narrazioni che divenivano parabole esistenziali; i poeti si sono interrogati sul mistero dello spirito, sull’infinito, sul male, sull’amore, sulla morte e sulla vita spesso raccogliendo i fremiti poetici che animavano le pagine bibliche; i pensatori, gli uomini di scienza e la stessa società avevano non di rado come riferimento, sia pure per contrasto, le concezioni spirituali ed etiche (si pensi al Decalogo) della Parola di Dio. Anche quando la figura o l’idea presente nelle Scritture veniva deformata, si riconosceva che essa era imprescindibile e costitutiva della nostra civiltà.
È per questo che la Bibbia – la quale ci insegna anche la via pulchritudinis, cioè il percorso della bellezza per comprendere e raggiungere Dio («cantate a Dio con arte!», ci invita il Sal 47, 8) – è necessaria non solo al credente, ma a tutti per riscoprire i significati autentici delle varie espressioni culturali e soprattutto per ritrovare la nostra stessa identità storica, civile, umana e spirituale. È in essa la radice della nostra grandezza ed è attraverso essa che noi possiamo presentarci con un nobile patrimonio alle altre civiltà e culture, senza nessun complesso di inferiorità. La Bibbia dovrebbe, quindi, essere da tutti conosciuta e studiata, sotto questo straordinario profilo di bellezza e di fecondità umana e culturale”[1].

Con queste parole, si esprimevano i Vescovi nel Messaggio finale del Sinodo del 2008, sulla Parola di Dio. Questo testo autorevole ci ricorda, che la Bibbia ha assunto lungo i secoli il volto della bellezza dell’arte e che, parallelamente, essa ha raggiunto gli uomini e le donne di questo mondo con una ricchezza di linguaggi, tra i quali quello artistico è certamente uno dei più alti e significativi. Se come credenti noi riconosciamo che la Rivelazione si è compiuta in Gesù nella sua fase costitutiva, noi riconosciamo pure che nella sua fase di recezione essa continua durante tutta la vita della chiesa; e questa recezione diventa particolarmente desiderabile per l’umanità nella “via della bellezza”. Se Gesù è la Stella “e la luce della sua rivelazione continua ad illuminarci nella storia”[2], bisogna riconoscere che questa luce, ci ha avvolto e continua ad avvolgerci in modo splendido, nel fulgore dei capolavori dell’arte sacra (e non!) che sono stati creati in questi due millenni di Cristianesimo. La Parola di Dio dunque è risuonata nel mondo con una “parola umana che ha implicato l’impiego del linguaggio umano e quindi dell’immagine mentale (rappresentazioni), narrativa (il linguaggio è simbolico), plastica (materiale)[3]. Ascoltare la Parola è dunque anche vedere delle immagini, come è accaduto non solo in passato ma anche nel nostro tempo: ne è prova per esempio il recupero delle Icone nelle esperienze di Lectio o di Scuola della Parola[4], la crescente valorizzazione dei documenti iconografici nei testi catechistici[5], il susseguirsi di pubblicazioni riguardanti il tema dell’arte cristiana sempre più attente ad una lettura biblico-teologica delle opere[6] e l’inserimento di creazioni artistiche nelle pagine del Lezionario Festivo!

 

  1. L’arte ed il cristianesimo

E’ noto a tutti che il Cristianesimo ha sviluppato una “sua” arte a partire dalle esigenze del culto, prima ancora che dell’annuncio: dalle arti maggiori (pittura, scultura …), a quelle minori (tessuti, vasi, suppellettili liturgiche …) si deve dunque non tanto alla catechesi, quanto piuttosto alla liturgia la nascita dell’espressione artistica cristiana, anche se comunque è stata primariamente (ma non esclusivamente!) la Scrittura ad ispirare le creazioni che ritroviamo nei luoghi di culto, a partire dalle Catacombe … fino alle chiese moderne decorate dai mosaici di Ivan Rupnik e della sua scuola[7]. Così come il Cristianesimo, per comunicare il suo messaggio all’umanità, ha assunto le lingue dell’Oriente e dell’Occidente, del Settentrione e del Mezzogiorno, così pure ha assunto anche gli stili e le forme della bellezza estetica già elaborate dalle diverse culture per tradurre il Vangelo in immagini. In tal modo i primi artisti cristiani del mondo greco-romano “hanno gettato sul loro tempo uno sguardo pieno di simpatia. Si sono ritenuti capaci di discernere la verità nascosta in alcune di quelle immagini (pagane). Se ne sono serviti come di uno strumento di comunicazione, di una lingua capita dai loro contemporanei e che possedeva certe parole che si rivelavano adatte ad esprimere l’evangelo”[8]. E questo processo di inculturazione della parola di Dio si è ripetuto continuamente lungo la storia, basti pensare al passaggio operato dalle arti ai tempi delle invasioni barbariche prima e dei Carolingi poi[9]. Gli eventi biblici ( in particolare quelli che esprimevano con maggiore immediatezza un significato salvifico) hanno costituito per gli artisti un impulso straordinario per esprimere il loro talento, ed essi, con le loro opere, rendendoci partecipi del vissuto interiore del loro ambiente e del loro tempo, ci hanno anche contemporaneamente “attualizzato” le Scritture; attraverso le loro opere essi ci manifestano il loro dolore e le loro gioie, il loro amore e le loro attese illuminate dalla prospettiva della Parola di Dio. Così, guardando un mosaico paleocristiano con la figura di Giona, o un’icona con la Trasfigurazione con i tre discepoli ai piedi di Gesù, o una formella romanica che narra le storie della Genesi, o una vetrata gotica col ciclo di Davide, o una scultura rinascimentale di Mosè, o un affresco del ‘600 con l’Adorazione dei pastori, o un dipinto moderno dedicato all’episodio di Emmaus … noi possiamo esclamare: “O Signore, tu sei venuto a noi. Sei stato meravigliosamente presente nella nostra storia. Tutto ciò che fai è eternamente attuale: la Storia della Salvezza è anche rivelazione del nostro “oggi”. Giona, Pietro Giacomo e Giovanni, Adamo ed Eva, Davide, Mosè, i pastori e i discepoli di Emmaus, non ci sono estranei; li vediamo raffigurati del tutto simili a noi. I loro volti sono i nostri volti. Essi sono nostri fratelli, contemporanei nella fede. Formano con noi il popolo che cammina in tua compagnia verso l’incontro finale con te!” . E così, quando noi entriamo in relazione profonda con ciò che gli artisti hanno creato, noi possiamo entrare in dialogo non solo con loro, ma anche con il messaggio di salvezza che li ha raggiunti: è per questo che San Francesco poté “dialogare” col Crocifisso, attraverso l’immagine dell’ignoto artista che aveva dipinto la Croce di San Damiano. E ciò che è accaduto in modo esemplare a San Francesco è successo ad innumerevoli cristiani del passato e succede ancora nel presente. Dunque, le creazioni artistiche, possono rappresentare ancor oggi, per chi le sa accogliere, una sorgente benedetta di senso, di libertà e di fede! L’autentica opera d’arte sacra (non certo quella realizzata per mero interesse di mercato!) testimonierà sempre ciò che Dio ha fatto e continua a fare per incontrare l’uomo e ciò che l’uomo porta in sé, ciò a cui aspira, cosa lo supera … Si tratta delle profondità dello spirito umano a cui ciascuno, credente o non credente può aprirsi! Inoltre, lo sappiamo, dal punto di vista specificamente cristiano le immagini non solo rimandano ad una storia, ma più profondamente ancora esse toccano ed amplificano con la loro “materialità”, quella dimensione del sensibile che Cristo stesso ha voluto assumere nel Mistero della sua Incarnazione. E’ la dimensione “sacramentale” quella in cui va inquadrato lo statuto ed il significato più profondo dell’arte cristiana: non a caso, come abbiamo ricordato le immagini sono nate nei luoghi di culto, perché “in immagini legate alla liturgia, come nella liturgia stessa, il credente è invitato a cercare, oltre ciò che vede, qualche cosa di più … l’immagine si pone come epifania ed apocalisse”[10]. L’arte cristiana si mette dunque al servizio della fede e della spiritualità cercando di rendere visibile “Colui che era fin da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che noi abbiamo contemplato e quello che le nostre mani hanno toccato, il Verbo della vita” [11]. Certo, le immagini, lungo la storia della Chiesa hanno assunto anche diverse funzioni: da quella pedagogica a quella mistagogica, da quella propagandistica a quella consolatoria eccetera[12]. Ma le arti figurative in fondo hanno sempre cercato principalmente di rendere visibile il mistero donandogli apparenza e trasfigurandolo in modo “bello”, con un linguaggio “gratuito”, e per ciò stesso particolarmente pertinente al Vangelo: non per nulla Tommaso d’Aquino scriveva che “Bello è il nome proprio del Figlio, inteso come immagine perfetta del Padre”[13], perché ciò definisce l’unità della visione e della fede, della presenza e della chiamata che è al cuore di ogni fenomeno estetico, come della creazione artistica e dell’esperienza credente. Si può ripensare al proposito alla riflessione teologica legata alle Icone, che nella autentica tradizione  della Chiesa non sono il duplicato di un originale invisibile, ma manifestano l’atto per cui l’Invisibile si rende visibile, cioè l’Incarnazione (cfr. Giovanni Damasceno). Tuttavia, bisogna sempre essere coscienti che questo fatto suppone un movimento di rivelazione, nell’apparizione di una forma, che manifesta ma simultaneamente nasconde il mistero che rappresenta (anti – idolatrìa). Si apre qui la questione della relazione tra le rappresentazioni dell’arte cristiana e la Bibbia.

 

  1. Il Dio dell’arte è il Dio della Bibbia?

Dobbiamo renderci conto che nessuna opera d’arte interpreta in modo esaustivo un testo biblico, come pure nessuna omelia, nessun testo catechistico. Talvolta anzi, chi fa annuncio e catechesi utilizzando documenti iconografici, deve vigilare sull’impiego di una creazione artistica, perché circa il potenziale “rappresentativo” che essa possiede, deve essere fatto un attento discernimento. Un autore che in tempi recenti è riuscito molto bene a porre la questione delle rappresentazioni artistiche e della loro fedeltà alla Scrittura è stato Francois Boespflug che intitolava una sua recente conferenza in modo provocatorio: “Il Dio dell’arte è il Dio della Bibbia?”[14]. La sua riflessione prende avvio da alcune domande di fondo che tutti coloro che si dedicano alla catechesi con l’arte sono chiamati a porsi circa la fedeltà delle creazioni artistiche al Dio della Rivelazione: quando noi accostiamo le opere d’arte cristiana, esse servono e rispettano davvero questo Dio, oppure ne alterano il volto, lo tradiscono e ne danno una rappresentazione  sfalsata? Il pensiero di Boespflug si sviluppa ricordando il paradosso e la tensione esistente tra il Dio biblico, assolutamente trascendente e quindi non raffigurabile[15], e la produzione e la legittimazione delle immagini religiose attuata dal Cristianesimo in nome del già citato principio fondamentale dell’Incarnazione del Figlio. Questo processo venne progressivamente regolarizzato dalle Chiese, anche se con modalità diverse tra Oriente ed Occidente, fino a giungere alla formulazione del criterio fondamentale della necessaria fedeltà al testo biblico per le rappresentazioni religiose[16]. Significativa in tal senso è la storia della ricerca e della disputa circa la “vera immagine” di Cristo[17]. Tuttavia, fin dalle origini, noi abbiamo assistito all’elaborazione di soggetti iconografici in cui le Scritture non sono rispettate proprio alla lettera ed in cui gli artisti hanno invece inserito elementi della cultura estranei ai testi canonici, per comunicare più efficacemente il messaggio: si prenda l’esempio dei miracoli dipinti sulle pareti delle catacombe o scolpiti nei sarcofagi paleocristiani in cui Gesù è presentato con toga e bacchetta come un guaritore ellenistico, motivi non citati nei Vangeli; si pensi ancora alle scene dell’Infanzia di Gesù ispirate ai Vangeli Apocrifi, o all’assunzione di schemi e simboli di ascendenza pagana (imperiale o riferita a Giove) per raffigurare il Cristo in gloria con troni e scettri. Anche la presenza della figura di Dio Padre nelle scene della Annunciazione di per sé è non fedele alla narrazione di Luca, come pure sappiamo che la stessa rappresentazione della Trinità non ha dietro alcun testo biblico, se non in senso allusivo ed indiretto (cfr. l’Ospitalità di Abramo narrata in Genesi 18). Al di là dei soggetti, dobbiamo riconoscere che anche gli stili hanno influenzato decisamente la rappresentazione dei protagonisti della Storia della Salvezza sovraccaricandoli non di rado di una serie di  dettagli che rischiano di deformarne i tratti: basti pensare a Dio Padre, diventato di fatto un nonno, o alla figura di Maria, generalmente ritratta come un’europea bionda dagli occhi azzurri, e trasformata in una dea; eclatante è il caso dell’Occhio di Dio che, mentre nel significato biblico originario esprimeva la sollecitudine materna e la cura amorosa del Signore per i suoi figli[18] …  si è invece trasformato nel simbolo dello sguardo del padrone, minaccioso ed onnipresente che si affaccia dal triangolo, accompagnato dalla scritta “Dio ti vede!” … e questa rappresentazione di Dio come “il Grande Fratello” di orwelliana memoria, pone il credente in modo del tutto diverso di fronte a lui rispetto alle parole dei salmi. Traduzione o tradimento? Dunque, la tradizione artistica cristiana si è permessa di rappresentare il Dio della Bibbia facendolo uscire dall’invisibilità, ma se facendo questo, in nome di una legittima istanza di inculturazione, ha attinto anche da elementi iconografici segnati dalla politica, dalla psicologia, dalla sociologia (etc.) di un certo mondo e di una certa epoca, bisogna rendersi conto che alcuni di questi elementi hanno rischiato di oscurare o di rendere ambiguo il messaggio della Rivelazione. Si tratta di attivare dei seri processi ermeneutici (analoghi a quelli dell’esegesi) per cogliere l’originaria Parola di Dio che può risuonare anche attraverso le immagini d’arte. Il fatto che le opere d’arte possano rappresentare delle porte privilegiate per entrare nel mistero testimoniato dalle Scritture, deve farci rimanere nei loro confronti al contempo critici e devoti, smascherando l’illusione di un’arte puramente biblica e divina, spogliata da ogni  incarnazione che la renderebbe troppo umana. L’arte non è neutra e le rappresentazioni pittoriche o scultoree non sono da porre tutte sullo stesso piano: possiamo imparare a riconoscere che alcune opere risultano davvero ispirate, perché si avvicinano e ci avvicinano al cuore del messaggio cristiano, mentre altre ne sono una ben povera traduzione, talvolta piatta e pesante (o peggio assai ambigua!), né più né meno di tanti manuali di ascesi o di spiritualità. Citando ancora una volta il pensiero di Boespflug, sarà dunque opportuno porsi la domanda del “valore” di certe immagini artistiche in termini di fedeltà alla Scrittura ed alla teologia, come pure della loro fedeltà all’uomo d’oggi (in un equilibrio di tradizione e di rinnovamento!), una fedeltà che non è incerta nostalgia del passato, ma sapiente riformulazione del perenne messaggio della Bibbia nelle lingue e nelle forme continuamente in evoluzione in ogni cultura.

 

  1. Tre ragioni pastorali per farci attendi al mondo dell’arte

Questa operazione di discernimento e di investimento sulle immagini artistiche, è quanto mai attuale ed addirittura irrinunciabile nel nostro tempo, almeno per tre ragioni di ordine pastorale.

  • Prima di tutto per una ragione culturale, perché la civiltà delle immagini in cui viviamo oggi, “deve senz’altro molto del proprio dinamismo e della propria legittimità al carattere profondamente iconofilo del cristianesimo”[19]. Questo deve renderci consapevoli che riscoprire l’iconografia cristiana, significa anche riscoprire le radici di una nostra cultura occidentale che si caratterizza per il ricorso alle immagini. Tra l’altro si assiste oggi al moltiplicarsi di numerose iniziative di valorizzazione del patrimonio artistico religioso anche da parte della società civile, delle istituzioni e di molte associazioni culturali[20]. Questo fatto trova riscontro anche nella sempre maggiore attenzione del mondo accademico ad una analisi delle opere d’arte non solo dal punto di vista formale e stilistico (iconografia), ma anche del loro significato teologico (iconologia)[21]. Anche dal punto di vista del rapporto tra l’estetica e la religiosità popolare si apre oggi un campo che merita un attento approfondimento e una serie di interessanti riflessioni[22]. Certamente non bisogna mai forzare le letture, strumentalizzando l’arte, rendendola un mero “cavallo di Troia” e cercando sempre di rendere “cattolico” ogni artista (si veda ad esempio il caso emblematico di Vermeer[23]); tuttavia l’esperienza ci insegna che un accurato approccio di tipo biblico e teologico alle opere, quando è fatto senza proselitismo e con rispetto e delicatezza, viene apprezzato anche dagli ambienti più laici.
  • In secondo luogo, c’è una ragione legata all’annuncio e all’inculturazione del messaggio cristiano per delle comunità cristiane che non sono solo chiamate a coltivare la memoria del loro glorioso passato, ma parallelamente a suscitare il dibattito per mostrare come la tradizione artistica cristiana rivisitata, reinterpretata, rimane una sorgente viva per pensare le nuove sfide, che sono quelle dei nostri contemporanei. Da questo confronto, illuminato dalla luce della Scrittura, potrà scaturire anche una riformulazione creativa dell’iconografia cristiana. Infatti coltivare la memoria dell’arte cristiana e animare il dibattito ha senso tanto quanto favorisce la libertà e la creatività: libertà di appropriarsi della tradizione con cognizione di causa; libertà anche di far propria l’eredità artistica cristiana in maniera rinnovata ma prendendo, all’interno di questa eredità, ciò che viene sperimentato come significativo ed umanizzante per l’oggi. In tal senso è bene restare attenti all’arte moderna e contemporanea e favorire un rinnovato dialogo con gli artisti perché essi, con le loro creazioni manifestano lo “spirito” del tempo e del mondo in cui il vangelo è chiamato a incarnarsi. Tra l’altro, anche se oggi i temi di soggetto biblico sono diventati minoritari nell’arte, i riferimenti al messaggio cristiano restano comunque presenti in numerose opere, seppur con forme originali, curiose, talvolta strane e provocatorie: queste opere meritano perciò un accostamento paziente e libero da pregiudizi perché in alcuni casi possono costituire una “parola nuova” (magari contestatrice, o forse purificatrice)[24].
  • Infine c’è pure una ragione ecumenica, perché l’arte ci permette di avviare un confronto tra culture e fedi; il linguaggio dell’arte è infatti capace di avvicinare le persone, un linguaggio cui anche i giovani restano disponibili. E’ la convinzione espressa recentemente dal cardinale di Lione, Philippe Barbarin: “l’arte è un linguaggio universale concreto che può parlare a tutti gli uomini ed a tutto l’uomo. Pur essendo sempre espressione di una cultura è la miglior mediatrice tra le culture. La dimensione universale dell’arte è in tal senso parallela all’universalità della fede e dell’esperienza credente. Essa è creatrice di un bene comune, luogo di carità politica e spirituale”[25]. Un itinerario fatto insieme tra credenti delle tre grandi religioni monoteiste potrebbe favorire per esempio il superamento di tanta ignoranza e tanti pregiudizi. In particolare le persone che hanno responsabilità sociali, culturali ed anche ecclesiali potrebbero interrogarsi in tal senso. Un approfondimento ecumenico del patrimonio artistico delle diverse religioni potrebbe rappresentare un apporto in vista di una maggiore conoscenza del mondo spirituale gli uni degli altri … un apporto assai prezioso in un mondo pluralista come il nostro[26].

 

  1. Una catechesi biblica con l’arte

Il problema a questo punto diventa di ordine catechistico.  L’arte può avere una valenza formativa? Perché e come proporre una catechesi con l’arte che favorisca l’incontro con l’autenticità del messaggio biblico? Quale apporto specifico può dare l’immagine alla comprensione di un testo? Si possono identificare alcune note di metodo? Esistono esperienze che confermino la fruttuosità di in investimento formativo in questa direzione?

Prima di tutto vanne fatto alcune considerazioni introduttive:

  • Una catechesi con l’arte non può mai creare l’illusione di poter vedere il Dio della rivelazione, se non nel senso biblico di farci entrare in intimità con lui non solo con la mente ma con tutto il nostro corpo, sensi ed emozioni comprese: si tratta di restare sempre consapevoli di ciò e di aiutarsi a mantenere una distanza critica, contro il rischio della “sindrome del monte Tabor” trasformando queste esperienze in nicchie estatiche che distraggono ed alienano dalla realtà (è un pericolo presente e legato soprattutto alla moda contemporanea del ricorso alle Icone nella Lectio o nella Catechesi!).
  • Una catechesi con l’arte tuttavia non solo è possibile, ma anzi, consigliabile perché l’allenarsi a “guardare” con attenzione le immagini, può renderci più attenti anche alla lettura del testo biblico (l’abbiamo sperimentato in anni di incontri di laboratorio e di Scuola della Parola); questo esercizio può anche trasformare il nostro sguardo e renderlo “sano” nel senso evangelico, passando da un vedere ottico ad un vedere credente capaci di riconoscere la presenza del Signore nell’immagine per eccellenza che è l’uomo, anticipando così la “visio Dei” escatologica (cfr. “Quando Signore ti abbiamo visto affamato …” Matteo 25,37). Come dice un prefazio liturgico, si tratta di chiedere al Signore un dono prezioso, da coltivare da parte nostra: quello di “occhi per  vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli”[27].
  • I tesori d’arte cristiana realizzati in due millenni di fede, sono una viva e bella eco del Vangelo, e sono altresì da considerarsi come documenti/monumenti della Tradizione della Chiesa. Quindi non solo è legittimo, ma è pure necessario approfondire la fede attraverso questi documenti visivi, che tra l’altro hanno un’incidenza notevole nell’elaborazione delle nostre rappresentazioni religiose[28]. Di fatto l’arte, nella storia del cristianesimo, ha funzionato come una forma straordinaria di esegesi, e come tale può dunque essere recuperata oggi in un’esperienza catechistica, come contributo prezioso per favorire l’accesso al testo biblico e allo stesso tempo per mostrare l’attualizzazione storica dei suoi significati. I messaggi anche di opere d’arte sacra molto distanti da noi nel tempo e nello spazio possono essere sempre vivi ed interpellanti, tanto quanto noi impariamo ad “ascoltarle con gli occhi”, per cogliere quale Parola di Dio hanno cercato di raffigurare e trasmettere. Questo non deve farci dimenticare che anche oggi è all’opera lo Spirito Creatore che suscita sempre nuove e diversificate eco visive della Parola di Dio nell’arte moderna e contemporanea (tanto quanto nella teologia).
  • La catechesi si è sempre avvalsa dell’arte e delle immagini come “predicazione visibili” (cfr. i catechismi illustrati della Controriforma[29] … ed anche del mondo protestante!). La rinnovata attenzione pastorale all’arte quindi non rappresenta assolutamente una novità, ma si inserisce nell’alveo di una prassi secolare che ha sempre lasciato spazio al registro del bello. Certamente nella nostra società delle immagini, questo utilizzo ecclesiale delle immagini artistiche, che con un’attenta analisi apre ad un confronto e ad un dialogo di fede, può risultare un provvidenziale esercizio critico che può anche qualificare il nostro gusto ed il senso del bello, rendendoci capaci di scoprire e valorizzare ciò che di più umano esiste nel mondo suscitando in noi la capacità e la forza di reagire contro ogni bruttura e negatività.
  • Infine, come afferma il card. Martini, l’incontro col messaggio biblico tradotto in opere d’arte può risultare un momento di respiro, di riposo e di pace[30]. Questo può allora rendere l’incontro col Vangelo particolarmente desiderabile e riaprire, tramite la mediazione dell’arte e dell’emozione estetica, gli interrogativi della fede con un linguaggio, uno spirito e un metodo che infondono il desiderio di andare oltre .. per rendere bella la vita[31].

Fatte queste premesse, se si vuol precisare una semplice nota di metodo ci sono alcune cose che non vanno dimenticate:

  • Prima di tutto un’opera d’arte, in un processo catechistico può essere utilizzata fondamentalmente (anche se non esclusivamente) per tre funzioni:
  1.  In fase proiettiva : si utilizza un’immagine per aiutare le persone ad identificarsi ed esprimere le proprie rappresentazioni religiose valorizzando così il potenziale espositivo dell’immagine stessa. Per esempio si possono proporre diverse rappresentazioni di uno stesso tema (cfr. il crocifisso) e chiedere alle persone in quale si ritrovano di più e perché, mettendo in luce in un secondo momento il significato delle diversità iconografiche. Oppure si possono presentare immagini di diverso soggetto ma convergenti attorno ad uno stesso tema (es. Ultima Cena, Lavanda dei piedi, del pane, un altare, un’assemblea riunita etc.) come evocazioni  che aprono ad un confronto.
  2. Come documento /monumento della sacra tradizione : l’immagine viene accostata con un metodo critico, parallelo alla esegesi di un testo biblico, patristico etc. (è ciò che viene proposto sotto nei quattro passaggi per un incontro: Guardare, Sentire, Capire, Meditare/Reagire.) Per esempio a partire da una pagina del Vangelo (cfr. nascita di Gesù) si può confrontarsi sull’opera come “eco” di questo testo, come esempio di interpretazione e di attualizzazione dei suoi significati in una certa epoca storica, od un certo ambiente. In questo caso bisogna evitare due pericoli che portano ad una strumentalizzazione dell’immagine; il primo pericolo: trasformare l’incontro con l’arte in una conferenza accademica in cui l’esperto di turno “spiega” di tutto e di più, magari offrendo solo aspetti storico-critici senza un minimo riferimento biblico/teologico; il secondo pericolo: usare l’immagine come pretesto per fare una predica, senza farsi davvero attenti all’opera d’arte.
  3. In fase riespressiva: l’immagine viene proposta come sintesi della nuova rappresentazione rielaborata durante il percorso catechistico. Per esempio si possono presentare diverse immagini pasquali e chiedere ai partecipanti quale utilizzerebbero per offrire un biglietto di auguri che esprima il senso del cammino catechistico vissuto.

 

Detto questo, si possono programmare diversi tipi di incontro. Per semplificare ricordiamo che c’è chi preferisce partire dalla pagina biblica per poi vedere come l’immagine ha recepito, evidenziato o trascurato alcuni passaggi del testo; c’è invece chi preferisce partire dall’opera per recuperare in secondo luogo il testo per comprenderne i significati più profondi. Una dinamica tipo, che è stata da noi sperimentata più volte e verificata nella sua efficacia, è articolata in quattro passaggi:

  1. VEDERE: dopo aver mostrato l’opera d’arte (in fotocopia o proiettata) lasciando qualche minuto di silenzio contemplativo, per prima cosa i partecipanti sono invitati a fare attenzione a ciò che vedono con gli occhi (ambiente, luci ed ombre, colori, personaggi, atteggiamenti, oggetti…) … e si ascoltano gli interventi. Bisogna imparare a vedere come i bambini, senza preoccuparsi subito di interpretare a partire  dalle proprie precomprensioni: si tratta di rendersi disponibili a lasciarsi ospitare dall’arte ad  ospitarla in noi.
  2. SENTIRE: in seguito si dà voce al cuore, alla sensibilità, all’esperienza (ciò che mi colpisce, mi piace, mi richiama…). Questi primi due passaggi intendono favorire una percezione rispettosa ed accogliente dell’opera da parte dei singoli partecipanti e del gruppo nel suo insieme: incontrare un’opera d’arte è un’arte in sé. L’immagine infatti tocca i registri dei sensi e delle emozioni e apre alla condivisione per mezzo della parola per esprimere ciò che è stato colto in una lettura comunitaria, che è sempre infinitamente più ricca di quella personale.
  • CAPIRE: nel terzo passaggio l’animatore o l’esperto aiuta a ricostruire il  retroterra  dell’immagine prima attraverso una analisi critica  (lettura iconografica: autore, contesto storico-geografico-culturale, note  sulla tecnica, committenza, inserimento in una sequenza es. “natività” con varianti/costanti…), e poi, in un altro passaggio decisivo, si rilegge il sottofondo iconologico (biblico-liturgico-teologico-spirituale…). Si può anche fornire una pagina col breve commento e con citazioni di testi biblici e meditativi. Questo passaggio attiva un approccio ermeneutico che cerca di far comprendere il senso dell’opera in sé e dei significati che può nutrire la vita e la fede delle persone (cosa dice e cosa ci dice); questa ricerca del senso resta comunque sempre aperta e non sarà mai del tutto compiuta.
  1. MEDITARE / REAGIRE: infine si lascia un nuovo spazio di silenzio in cui si raccolgono i significati, i messaggi, le implicazioni per la vita (cosa mi porto via dall’incontro con l’opera), la risposta contemplativa/orante (di fronte a questa immagine…). Questo ultimo passaggio introduce ad una contemplazione … che poi rimanda alla vita, per non distogliere lo sguardo dalla realtà quotidiana.

 

Certo, per attuare una catechesi biblico-artistica è necessario acquisire un minimo di competenze diversificate che possono meglio esprimersi in un lavoro di equipe:

  • ovviamente ci vuole prima di tutto un minimo di conoscenze bibico-teologiche;
  • inoltre, se si utilizza l’arte bisogna esservi iniziati … almeno un po’;
  • infine bisogna avere una sufficiente abilità comunicativa ed esser capaci di condurre un incontro di catechesi (non è detto infatti che un bravo biblista o un bravo critico d’arte siamo automaticamente capaci di comunicare in modo appropriato e in un orizzonte catechistico).

Ci siamo accorti che, attraverso un esercizio formativo specifico maturato in laboratori adatti (già attuati in diverse diocesi), anche dei catechisti privi di  una grande preparazione culturale in materia artistica, possono diventare capaci di guidare degli incontri di catechesi con l’arte, valorizzando diversi apporti in fase di preparazione o di conduzione degli incontri. L’esperienza di diversi anni di attività ci conferma che, vista con gli occhi, ascoltata col cuore ed analizzata con la testa, un’opera d’arte può davvero condurre ad una comprensione straordinariamente viva del messaggio di fede in esso racchiuso. Lo spazio del confronto in tutti questi passaggi è fondamentale; perché infatti un’immagine religiosa possa avere una funzione ecclesiale ha bisogno di un riconoscimento e di una esplicitazione verbale. Se è vero che non esiste alcuna realtà figurativa univoca che sia sufficiente guardare per coglierne il significato cristiano, allora sarà necessario tener presente l’importanza dell’analisi all’interno del percorso formativo e al tempo stesso dare il massimo risalto al confronto interpersonale. Per quanto riguarda la scelta delle opere essa non potrà mai essere frettolosa o arbitraria, sottoposta solo al criterio estetico (“questa è bella!”). Sarà prima molto utile approfondire in qualche modo la teologia, la spiritualità del tempo e dell’ambiente in cui è stata realizzata l’opera d’arte per imparare a valorizzare opere non tanto di alta qualità formale o accademicamente fatte bene, quanto piuttosto delle espressioni autentiche della fede di artisti che, in spirito e libertà, esprimono realmente un autentico annuncio del messaggio biblico e la loro sincera esperienza credente.  E’ importante anche tener conto dei destinatari per non utilizzare linguaggi figurativi difficili o insignificanti (se si fa primo annuncio oppure catechesi con dei bambini, o dei giovani o degli adulti, non è la stessa cosa!). Una nota va rimarcata anche circa la qualità delle immagini: è questo un dato non trascurabile, perché troppe volte si è poco preoccupati di offrire riproduzioni, non si dice di lusso, ma almeno dignitose. Come un testo biblico fotocopiato deve risultare leggibile, altrettanto un’opera d’arte!!!

 

  1. Conclusione

Personalmente devo riconoscere che le più autentiche esperienze di “primo annuncio” le ho vissute in questi anni proprio negli incontri di carattere artistico, di diverso genere e finalità, promossi a livello ecclesiale e da istituzioni laiche, che hanno costituito un’occasione di incontro, di diverse letture e, appunto, di primo annuncio. E’ stato sorprendente in tal senso entrare in dialogo con le persone più diverse: dai partecipanti occasionali in numerose serate di lettura iconologica di alcuni capolavori antichi e recenti del territorio, agli studenti dell’università[32], ai fidanzati di alcuni corsi prematrimoniali, ai genitori dei bambini e ragazzi dell’Iniziazione Cristiana tra i quali spesso, i più coinvolti sono stati proprio i più “lontani” dalle parrocchie, con nostra gradita sorpresa. Questo ci ha motivato come diocesi a far nascere il Servizio per la Pastorale dell’Arte, per specializzare sempre più l’attenzione della nostra chiesa verso mondo dell’arte. Credo sinceramente che come cristiani, noi dobbiamo essere grati agli artisti di tutti i tempi per le innumerevoli eco della Scrittura che ci hanno lasciato in eredità, sotto forma di opere d’arte. Quanta Parola di Dio ha potuto raggiungere i cuori degli uomini tramite la bellezza artistica offerta ai loro occhi! Proviamo a chiederci quanto noi saremmo assai più poveri di conoscenza della Storia della Salvezza senza la pittura di Giotto o senza la scultura di Michelangelo (un discorso analogo andrebbe poi fatto per la musica, ricordando gli “oratori biblici” dei maestri romani del ‘500 e n’600 o le cantate di Bach). Gli artisti hanno “cantato” la bellezza della Bibbia facendo rallegrare il popolo di Dio con le loro creazioni e nello stesso tempo, proprio con esse hanno fatto, e continuano a fare, annuncio, catechesi, morale … L’incontro con un capolavoro attiva sempre un movimento interiore, sia che siamo incantati dall’eleganza di una Natività di Caravaggio, sia che siamo colpiti dal dramma di una di Crocifissione di Guttuso. E così la Parola di Dio continua a farsi presente nel segno della bellezza! E concludiamo con una nota serenamente apologetica, ricordando che l’arte ispirata dalla Scrittura, testimonierà sempre la straordinaria dimensione gratuita e la gustosa della Buona Novella! Parafrasando una bella espressione di Bezancon, sono solo coloro che conoscono male il cristianesimo, o solo coloro che vogliono chiudere gli occhi di fronte all’evidenza, che possono negare che esso costituisca una promessa di gioia: non si sono mai accorti di quanta bellezza ha generato[33]?

 

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NOTE

[1] Messaggio finale del Sinodo dei Vescovi, La Parola di Dio nella trama della storia, n°15.

[2] B. SESBOUE’, Credere. Invito alla fede cattolica per gli le donne e gli uomini del XXI secolo, Brescia 2000, p.159.

[3] J.COTTIN, Le regard et la Parole. Une théologie protestante de l’image, Genève 1994, p. 315.

[4] Ne è prova la serie di sussidi che vengono elaborati ogni anno dalle nostre Diocesi e dagli Istituti Religiosi.

[5] Si veda, per esempio, l’apparato iconografico del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.

[6] Citiamo, a motivo del successo editoriale riscontrato, il saggio di Flavio Caroli: Il Volto di Gesù, Milano 2008.

[7] AA.VV. I mosaici della Madre di Dio dell’atelier del Centro Aletti, Roma 2009, p.1

[8] AA.VV., Arte e teologia, Torino 1997, p. 61

[9] Illuminanti in tal senso sono le riflessioni proposte da Jean-Jacques Aillagon, il curatore della grande mostra intitolata “Roma ed i Barbari – La nascita di un mondo nuovo” (Venezia 2008),

[10] T. VERDON, Vedere il Mistero. Il genio artistico della liturgia cattolica, Milano 2003, p.28.

[11] 1 GIOVANNI 1,1

[12] Per un approfondimento di questo aspetto si rimanda al documentato saggio di Daniele Menozzi: La Chiesa e le immagini, Cinisello Balsamo (Mi) 1995.

[13] SUMMA THEOLOGIAE, I, q. 39, a. 8

[14] F. BOESPGLUG, Il Dio dell’arte è il Dio della Bibbia?, Conferenza tenuta a Padova il 17 maggio 2009  per Biblia.

[15] Cfr. Deuteronomio 4, 15-16 ed Esodo 20,4

[16] Lo stesso Boespflug ha studiato la questione illustrandola con abbondanza di  riferimenti nella sua celebre pubblicazione: Dieu dans l’art. Sollicitudini Nostrae de Benoit XIV (1745) et l’affaire Crescence de Kaufbeuren, Paris 1984.

[17] Uno studioso che si è dedicato all’approfondimento di questo tema è Hans Belting. Tra le sue pubblicazioni  indichiamo  in particolare: La vera immagine di Cristo, Torino 2007.

[18] Salmo 33, 18-19:  Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame.

[19] F. BOESPLUG, La Caricatura ed il sacro. Islam, ebraismo e cristianesimo a confronto, Vita e Pensiero Milano 2007, p.16.

[20] Tra le associazioni culturali che si fanno attente al rapporto tra Bibbia ed Arte si distingue sen’altro BIBLIA, cui va la nostra gratitudine per la promozione di convegni e manifestazioni di altissimo livello. Al riguardo, non si può certo dimenticare di citare l’importante pubblicazione, a cura di Timothy Verdon, degli atti del Convegno L’Arte e la Bibbia, Immagine come esegesi biblica, Settimello (Fi) 1992.

[21] Come esempio si confronti l’approccio biblico-teologico all’opera di Van Gogh messo in atto da Anton Wessels nel suo: A Kind of Bible. Vincent Van Gogh as evangelist, London 2000. Inoltre, sempre a questo proposito, segnaliamo una casa editrice che si distingue per l’accuratezza e l’approccio interdisciplinare all’arte, che in questi anni ha pubblicato una serie di saggi assai documentati: si tratta della Viella Libreria Editrice. Basta scorrere i titoli dei libri editi per esempio, a partire dal  2001,  per renderci conto dell’attenzione data al patrimonio di arte sacra ed una sua approfondita lettura anche teologica.

[22] Per questo aspetto della questione suggeriamo la lettura del saggio di Giovanni Trabucco: Devoti e creativi, Milano 2007.  Molto bella, nella prefazione,  l’espressione con cui il filosofo Massimo Cacciari attesta che esiste nel Cristianesimo “una tradizione per così dire “sublime”, per la quale al culmine della capacità di rappresentare o della fantasia si trova la Luce perfettamente ineffabile della Divinità” (p.VIII).

[23] D. ARASSE, L’ambizione di Vermeer, Torino 2006,  p.111ss.

[24] J. COTTIN, La Mystique de l’art. Art et christianisme de 1900 à nos jours, Paris 2007,  p. 257-268.

[25] P. BARBARIN – F. HADJADJ, Regards croisés sur l’art et sur la foi, Paris 2007,  p. 28.

[26] L’esperienza pluriennale di Verona, riguardante una catechesi biblica con l’arte vissuta insieme ai fratelli Ortodossi (Russi e Rumeni) e Protestanti (Luterani e Valdesi), è senz’altro una delle realtà ecclesiali più belle e significative che mi sia stato dato di vivere!

[27] C.E.I, Messale romano, Città del vaticano 1983,  p. 912.

[28] Un’esperienza di catechesi per adulti con l’arte, non può ignorare la delicatezza della questione delle rappresentazioni religiose ma, nello stesso tempo, dev’essere consapevole che si trova tra le mani una risorsa di straordinaria efficacia. Se per un credente si riesce a favorire davvero  un cammino  che, attraverso le immagini,  parte dalle rappresentazioni che egli porta in sè, questo fatto può segnare in lui l’apertura di un processo interpretativo che mette in movimento la sua fede per introdurla fin dentro ai confini del vangelo, cioè ad una rinnovata terra promessa come nuovo orizzonte di senso e quindi  di vita. Per approfondire il tema delle rappresentazioni religiose si rimanda alla lettura delle pagine 150-165 del testo di Enzo Biemmi, Compagni di viaggio, Bologna 2003.

[29] AA.VV., Ratio Imaginis. Esperienza teologica, esperienza artistica, Firenze 2001, pp185-194.

[30] C. M. MARTINI, La bellezza che salva. Discorsi sull’arte, Milano 2002,  p. 42.

[31] A. FOSSION, Ri-cominciare a credere, 20 itinerari di Vangelo, Bologna 2004,  p. 102.

[32] Si fa qui riferimento ad un Master di II livello, Antropologia e Bibbia, realizzato a Verona in collaborazione tra le Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze della Formazione dell’Università e la Facoltà Teologica del Triveneto – Studio Teologico San Zeno, sotto al direzione del preside Mario Lombardo, nel biennio 2007/2009. Tra i percorsi interdisciplinari e multiculturali  in relazione al codice simbolico delle Scritture ebraico-cristiane sono stati realizzati anche dei corsi su Bibbia ed arte figurativa, Bibbia e musica, Bibbia e cinema, Bibbia e letteratura. Dalle verifiche degli studenti è risultato come l’approccio artistico al testo biblico sia stato particolarmente apprezzato e fecondo.

[33] JEAN-NOEL BEZANCON; Jesus et son Dieu. Una Cathéchèse pour tous, Paris 2008,  p.62.